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Ritratti: Alberto Simeone

«Non devo affermare la mia identità di progettista. Devo portare avanti l’idea concreta di barca che è nella mente dell’armatore. È la sua idea di barca che deve prendere forma, non la mia». È la base su cui Alberto Simeone, figlio di quel Mino Simeone che negli anni ’80 disegnò e costruì nel cantiere di famiglia una fortunata serie di Half Tonner, sviluppa la propria visione progettuale. Una carriera quella di yacht designer venuta dopo una importante esperienza da architetto nel settore civile.

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«Alla metropolitana leggera di Perugia, il famoso Minimetrò», racconta Alberto Simeone, «un’opera firmata da Jean Nuovel. Ero responsabile dei lavori alle opere civili. Gestire una impresa del genere è stato per me fondamentale per costruire un metodo di lavoro». Un metodo che per Simeone, che nel 2003, assieme a Mauro Montefusco e Mario Sassi, ha dato il via al cantiere Mylius, che ha poi compiuto un decisivo passo avanti nel 2011 con l’ingresso di Luciano Gandini, presidente del cantiere, è il perno attorno al quale si deve svolgere la progettazione. «Il controllo del progetto dall’inizio alla fine: è quello che dà un risultato completo. Assieme all’equilibrio di un lavoro eseguito tutto, in ogni suo componente, dalle stesse mani. Direi che è questa la caratteristica e la filosofia di Mylius».

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Un lavoro di progettazione che per Simeone parte sempre dalla richiesta di un armatore. Come è avvenuto per il nuovo Mylius 76, che si affianca ai quattro modelli precedenti: il 50, il 55, il 60 e il 65 piedi. «Il primo 65, un flush deck, arriverà tra poco in cantiere. E gli interni li abbiamo sviluppati in collaborazione con l’architetto Aldo Parisotto. Un amico con cui è interessante confrontarsi. Tornando al 76, è un 23 metri declinato nelle versioni flush deck e deck saloon. La richiesta è venuta da un amatore esperto, con alle spalle un giro del mondo e che voleva una barca per ripeterlo. Ho ascoltato le sue esigenze. Abbiamo insieme affrontato i vari aspetti. Gli ho presentato una barca appena abbozzata e su quella ci si è confrontati. È dalla mediazione che nasce la barca giusta».

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Poi quella che per Simeone è la fase di scultura. «La barca va modellata nello spazio. Ma prima studio tutto quanto è stato fatto. Non credo ai colpi di genio, ma nella ricerca, nell’osservazione e nell’intuizione. E nel cosiddetto vissuto marino. Nell’esperienza. Io credo di aver cominciato davvero da piccolo. Guardando mio padre che lavorava al tavolo da disegno».

Il risultato di questo approccio è evidente nel Mylius 11e25 che fece scalpore al Salone Nautico di Genova 2004 con il suo grande prendisole a poppa della timoneria. «Dove vuoi avere l’amico, la compagna, mentre sei al timone? Vicino a te. Ma la barca deve sempre esser equilibrata. Equilibrio di scelte. Quello delle funzioni viene dopo». Un equilibrio che è anche nel Mylius 76 Deck Saloon, appena sceso in mare.

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«Per noi di Mylius il 76 DS è, molto importante. Fino a ieri le nostre barche avevano ponti molto lineari, con tughe basse. Con questo DS compiamo un passo avanti progettuale perché la tuga, è la barca. La distingue, la caratterizza. Crea quel gioco di vuoti e pieni che è l’immagine percepita della barca. Per raggiungere questo risultato occorre tempo. Occorre superare l’enfasi del momento in cui apporti una modifica alle linee, ai volumi. Occorre saper rimettersi sempre in discussione per affinare le scelte. Fino a realizzare quella unità di tutti gli elementi della barca, che ritengo sia il fine della progettazione. E che è anche la filosofia di Mylius».

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