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Benetti Seasense

Nel 2012 Benetti lanciò il Design Innovation Project. Si trattava di una sorta di contest cui parteciparono 16 tra i più importanti yacht designer del mondo. Alla presentazione ufficiale dei progetti, durante la giornata inaugurale del Monaco Yacht Show, l’impressione fu quella di trovarsi di fronte a un incontro tra giornalisti, addetti ai lavori e yacht designer e a tanti, bellissimi, concept di yacht. Invece…

Invece uno di quei progetti si è trasformato in realtà e oggi naviga con il nome di Seasense. 

La storia è affascinante: un facoltoso imprenditore newyorkese di mezza età con interessi nel settore del real estate, del cinema, della moda e ultimamente anche del vino sette o otto anni fa decide di comprarsi una barca nuova. Ha già un motoscafo e un 27 metri di un rinomato cantiere italiano, ma vuole qualcosa di più grosso, su cui passare le vacanze insieme alla moglie e ai quattro figli. Qualcosa che lo rappresenti meglio e che dia corpo ai suoi sogni.

Per sei anni interpella e visita tantissimi cantieri, sia italiani sia stranieri, ma nessuno gli propone qualcosa che gli piaccia davvero. Per i suoi gusti hanno tutto cielini troppo bassi e troppi spazi chiusi. Non molla: vuole la barca dei suoi sogni. Poi, guardandosi in giro quando è in porto o in navigazione si rende conto che le barche che lo colpiscono sempre per il loro design sono i Benetti, così  decide di rivolgersi anche a loro. In cantiere ascoltano i suoi desideri e poi gli propongono uno dei concept del Design Innovation Project, quello che lo yacht designer olandese Cor D Rover aveva battezzato: Benetti beach concept. 

È un colpo di fulmine. L’imprenditore sceglie inizialmente di realizzare la versione di 45 metri, che diventerà poi, modifica dopo modifica, un 67 metri e verrà battezzato, non a caso: Seasense.

Caratteristica principale di questo yacht è la gigantesca piscina che con i suoi 10 metri di lunghezza per quattro di larghezza occupa un quarto del ponte principale, è parte strutturale dello scafo e può essere usata anche in navigazione. È intorno a lei che ruotano il design, i layout e la vita stessa del main deck e dell’intera barca.

«Per una coppia come l’armatore e la moglie, che passano tutti i giorni lavorativi in grattacieli con aria condizionata, avere una barca da vivere en plein air era una conditio sine qua non, indipendentemente dalle sue dimensioni», spiega Rover. Ecco allora che l’area pranzo del main deck con tavolo per 12 diventa una zona indoor-outdoor grazie a un sistema di porte scorrevoli a scomparsa che, a seconda delle necessità o del meteo, la collega all’area tv lounge dell’interno o alla beach pool esterna.

Quest’ultima, tra l’altro, può essere coperta con 22 travi in fibra di carbonio (quelle del ponte sono in teak, montate per madiere e non longitudinalmente come si fa di solito) e diventare un campo da basket.

Il gioco dell’indoor-outdoor è stato ripreso, anche se in maniera meno appariscente, anche sul salone dell’upper deck e sull’incredibile palestra posta sul sun deck e direttamente collegata con l’area relax con jacuzzi e prendisole. Gli interni, firmati dai designer della losangelina AREA non sono stati meno impegnativi. Tutti quelli tradizionali, anche i più moderni, non rispecchiavano i desideri degli armatori. Erano o troppo noiosi, o troppo sopra le righe. Volevano qualcosa di differente, ma che fosse prima di tutto comodo e classicamente senza tempo.

Walt Thomas di AREA però aveva già lavorato con gli armatori nel residenziale e sapeva che detestano le ripetizioni di materiali o di colori. Per loro ogni ambiente deve essere unico.

E così è stato. L’unico trait d’union dell’interior design è il bianco usato per i cielini, le pannellature e i telai delle finestrature, per il resto ogni cabina, ogni salone e ogni bagno hanno una loro identità ben definita. E tutti vantano altezze interne record: 2.70 metri, tranne la owner suite che raggiunge addirittura i tre metri per lasciar spazio a un lampadario scultura di Studio Roso in acciaio specchiato e spazzolato.

I materiali usati a bordo sono i più disparati, si va dai monoliti in marmo usati per i bagni alla pelle e alla seta usate per i rivestimenti, passando per l’acciaio e il legno.  Così come le firme: si va dai divani di Holly Hunt e Chai Ming Studios ai tappeti di Tai Ping, fino alle incredibili opere d’arte della collezione personale dell’armatore. 

La paletta dei colori è pressoché infinita ma perfettamente armonizzata. La sensazione finale è quella di uno yacht di grande personalità e con un altissimo livello di vivibilità dove niente è lasciato al caso. Ed è la dimostrazione lampante di come, nel mondo dei megayacht, soprattutto in quello italiano, basti chiedere per ottenere risultati strabilianti.

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