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I nuovi Imoca

Nel 2019, in un mese e mezzo, sono stati varati ben cinque Imoca. E alla Vendée Globe (al momento sono pre-iscritti 37 navigatori) ci saranno otto Imoca della cosiddetta “nuova generazione” uscita dalle regole di Classe pubblicate il 16 aprile 2019 dall’International Monohull Open Class Association. 

Una stazza che, oltre a lunghezza fuoritutto e dello scafo (21,12 e 18,28 metri) e al pescaggio (4,50 m) introduce, tra l’altro, anche chiglia e relativo sistema di movimento, albero e buttafuori dell’albero one design.

Soprattutto, introduce un secondo grado di libertà di movimento dei foil che ora, oltre al dentro-fuori dallo scafo, possono ruotare di 5 gradi sul loro asse. L’angolo di rotazione, impostata a terra, non può essere modificata in mare. 

Ma, oltre alla Vendée Globe c’è in calendario la The Ocean Race 2021-2022 che, accanto ai Volvo 65, vedrà impegnati gli Imoca. Insomma, una serie di eventi che fanno dei 18 metri Open una classe estremamente dinamica dal punto di vista progettuale. 

Per questo abbiamo riunito e rivolto una serie di domande ai progettisti degli Imoca varati nel 2019: Vincent Lauriot Prévost dello studio VPLP che ha varato Hugo Boss e DMG Mori, Guillaume Verdier che ha varato Apivia (vincitore della Transat Jacques Vabre) e Advens for Cybersecurity e Juan Kuojoumdjian che firma Arkea Paprec ed è impegnato nella costruzione (varo nel 2020) di Corum d’Epargne.  Ecco cosa ci hanno detto.

TYD: Qual è la definizione di “nuova generazione”?
Vincent Lauriot Prévost. In due parole: la nuova generazione di Imoca è composta di barche progettate attorno ai foil che non sono un optional, ma al centro del design.
Guillaume Verdier. Non è che nuova generazione significhi molto. A parte il fatto che sono state create appositamente per la Vendée Globe 2020. Alcune vecchie barche come PRB (un progetto VPLP-Verdier del 2009, secondo alla Transat Jacques Vabre 2019, ndr) sono state rinnovate e vanno molto bene. 
Juan Kuojoumdjian. Si chiamano “nuova generazione” perché progettate secondo la regola di stazza pubblicata dopo la Vendée Globe 2017 che autorizza un secondo grado di libertà dei foil. Oltre a potersi muovere, dentro e fuori lo scafo, è possibile un altro asse su cui muoverli, nella maggior parte dei casi uno verticale per portare in avanti o indietro il foil.

TYD: Cosa distingue i vostri due progetti?
V.L.P. Invece di concepire uno scafo per la massima potenza, abbiamo puntato sui foil per ottenerla e abbiamo sviluppato lo scafo in base ai criteri di minima resistenza. Contrariamente alle barche del 2016, quelle del 2020 hanno scafo più stretto, larghezza al galleggiamento ridotta, spigoli arrotondati che si sollevano a poppa per una superficie bagnata ridotta. DMG Mori è uscito dallo stesso stampo di Charal (varato nel 2018, ndr) e la filosofia della carena di Hugo Boss è simile, migliorata in termini di resistenza grazie agli ulteriori studi che si sono potuti fare.
G.V. Entrambi beneficiano di 18 mesi di studi supplementari rispetto al solito perché nel 2017 eravamo stati scelti per sviluppare il Super 60 per la Volvo Ocean Race. Queste barche derivano proprio da quello studio. (Nel maggio 2017, Mark Turner, allora Ceo di Volvo Ocean Race, lanciò il progetto di un 60’ One Design, il Super 60, con il quale si sarebbe dovuta correre l’edizione 2019. Un progetto poi abbandonato, ndr).
J.K. Purtroppo sulle specifiche c’è un confidential agreement. In comune c’è lo stampo, il che riduce i costi. E, naturalmente, l’albero e la chiglia che sono one design. Hanno due diverse coperte e design dei pozzetti e un diverso approccio ai foil.

TYD: Qual è l’elemento che in maniera più evidente caratterizza i progetti?
V.L.P. La coperta di Hugo Boss è inedita. Il profilo anteriore è pensato per ridurre la superficie esposta al vento. La circolazione di onde e schiuma sulla coperta, che è piatta, è facilitata dell’assenza di una tuga che invece esiste in forma tradizionale su DMG Mori. Questo permette di abbassare il centro di gravità generale e creare un reale piano aerodinamico tra boma e coperta. Inoltre, non c’è un vero pozzetto a poppa e la zona di manovra è coperta e protetta.
G.V. Sono molti. Le dimensioni dei foil, la forma aerodinamica delle barche, la tuga come elemento di protezione dell’equipaggio, le sezioni dello scafo più o meno piene avanti o tonde, e il piano velico. 
J.K. La scelta del tipo di foil e la coperta. Due elementi molto evidenti perché si possono vedere i volumi e come lo skipper intende gestire la barca e manovrare le vele. Come si può già vedere, la tuga di Arkea Paprec ha una serie di finestrature verso prua e mentre su Corum d’Epargne si è deciso di farne a meno. 

TYD: Lo sviluppo dei foil è stato effettuato internamente al vostro studio e sono stati utilizzati software di provenienza aeronautica?
V.L.P. I foil sono stati interamente progettati da noi. Abbiamo una squadra di ingegneri e architetti, software che il più delle volte sono stati sviluppati da noi, computer e sistemi di simulazione per la progettazione di foil, derive, chiglie, timoni dei nostri progetti.
G.V. Facciamo tutto internamente. Sviluppiamo i nostri software e utilizzo anche il simulatore e gli strumenti sviluppati da Emirates Team New Zealand (Verdier è naval architect del defender dell’America’s Cup, ndr.)
J.K. Dal 2004, dalla nostra prima campagna Volvo con ABN Amro, abbiamo deciso di disporre del nostro sistema di cluster di elaborazione ad alte prestazioni e di eseguire internamente le simulazioni CFD. È quello che chiamiamo JYDcfd. Per i calcoli strutturali uniamo le nostre risorse a consulenti esterni mentre i sistemi sono progettati da ciascun team.

TYD: Come si differenziano i foil dei due progetti?
V.L.P. I foil di Hugo Boss e DMG Mori sono diversi ma per entrambi l’opzione è stata rendere “aerea” la barca grazie alla loro immersione profonda che crea un importante sollevamento. La forma circolare dei foil di Hugo Boss permette di rientrarli completamente nello scafo in condizioni di vento leggero. Cosa invece impossibile con un’altra forma.
G.V. Le differenze sono evidenti nella vista da poppa, nell’allungamento e nella corda, nell’immersione e nella superficie. E nel modo in cui possono essere rientrati in condizioni di vento leggero.
J.K. Più semplice commentare i diversi approcci della flotta. Questo particolare aspetto dipende molto dalla strategia per la Vendée Globe. Esistono due tipi di foil, quelli curvi-circolari, ottimizzati per VMG (Velocity Made Good, ndr) in andature portanti e quelli più allround, con un terminale verticale su una struttura più lineare. Lo skipper gioca un ruolo importante in questa scelta a seconda della sua visione su come navigare con i foil. 

TYD: Avete sviluppato un sistema di sicurezza contro il rischio di collisione dei foil con oggetti alla deriva?
V.L.P. No.
G.V. Mi piacerebbe, ma supera le mie possibilità! Su Safran (il primo Imoca con foil firmato da VPLP e Verdier nel 2015, ndr) c’era una telecamera termica in testa d’albero. È davvero un grosso rischio!
J.K. I progettisti di Juan Yacht Design non sono direttamente coinvolti in questo aspetto. Nel nostro caso è una decisione che viene presa da ogni team per trovare il giusto equilibrio.

TYD: Quale sarà la prossima evoluzione degli Imoca?
V.L.P. I prossimi Imoca, dovrebbero, se la regola di classe lo permetterà, avere dei piani di sostentamento sotto i timoni (a T rovesciata, ndr) per facilitare il controllo in volo. Le zone dove sta l’equipaggio e di manovra saranno sempre più protette e le manovre in coperta sempre meno frequenti.
G.V. Mancano i timoni a T rovesciata. Oggi è come pilotare un aereo senza impennaggi di coda che regolano la stabilità di volo. È un peccato. Andremmo 6 nodi più veloci e sarebbe meno pericoloso.
J.K. Due elementi saranno fondamentali. Innanzitutto, i timoni a T con flap, per un controllo molto migliore in volo. Quindi, autorizzare una maggiore libertà nel controllo dei foil, anche se i sistemi saranno più costosi, fornirà ai team un modo assolutamente efficiente per trovare il giusto equilibrio senza cambiare foil, cosa che è di gran lunga più costosa.

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