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Matteo Picchio “La barca giusta é quella su misura”

Durante la facoltà di architettura ha completamente ristrutturato la sua barca. Oggi progetta indifferentemente sia nell’architettura residenziale sia nella nautica. Con un’attenzione precisa alla tradizione navale anche nei progetti più innovativi.

L’ architetto Matteo Picchio è uno “yachtsman” nato sul dinghy dodici piedi acquistato dal nonno e cresciuto sulle barche a vela in legno del padre. La prima vera esperienza progettuale avviene agli inizi degli anni ‘90 con il “refitting” del “Raireva”, il suo ketch di 14 metri, disegnato da Carlo Sciarrelli nel 1972. L’attività prosegue con il restauro di barche d’epoca dal pedigree immacolato, ed oggi lo studio di Picchio a Milano è attivo parallelamente sia nella progettazione di grandi barche da diporto che nell’architettura residenziale.

Come architetto lei progetta sia per l’abitare che per lo yachting, le capita di mettere in relazione i due ambiti?
Il mio studio si avvale di architetti, ingegneri navali e designer, ma la mia matita rimane una sola. Come metodo ho scelto volutamente di impastare i due ambiti progettuali. Mi capita di trasferire le soluzioni trovate per le case alle barche, e viceversa.
In campo navale lavoriamo sia al restauro di barche d’epoca che nella progettazione di barche a vela e a motore di concezione modernissima. In campo architettonico realizziamo progetti di ville, interni di appartamenti e restauri di palazzi storici. Ci è capitato di progettare la casa per gli stessi committenti di uno yacht.

Possiamo affermare che prima di essere uno yacht designer, lei è un velista di razza?
Sono sempre stato un velista ma se penso “alla razza” mi vengono in mente le regate. La barca è invece per me un ambito completamente slegato dal contesto della competizione: un piccolo mondo gestibile in proprio, dove le leggi che governano la società della competizione servono a poco.

Ha eseguito il refitting del “Raireva” con un progetto di autocostruzione durato venti mesi. Una lunga traversata in solitario che ha inciso sul suo metodo progettuale?
E’ stata un’esperienza assolutamente fondamentale. Ho affrontato quel progetto quando avevo vent’anni ed ero studente di Architettura. Mi è servito a livello tecnico, ma sopratutto psicologico: è allora che ho imparato ad avere la tenacia necessaria per portare avanti un progetto. Allora avevo appena letto il romanzo “I lavoratori del mare” di Victor Hugo, dove il protagonista per recuperare un vascello da solo si inventa arnesi complicatissimi, ad esempio dei grossi paranchi aggrappati agli scogli, oppure una forgia alimentata dal vento che si incanala tra le rocce. Con lo stesso spirito mi ero messo a ricostruire la mia prima barca.

Come nasce una “barca giusta”?
La “barca giusta” è quella fatta su misura. Il “Raireva” è la mia barca giusta, ha lo scafo in acciaio e la poppa norvegese che la rendono adatta alle traversate oceaniche. Dopo vent’anni è ancora la mia “casa” preferita. La abito quattro giorni a settimana e vi svolgo una parte del mio lavoro. Normalmente è ormeggiata a Genova, spesso ricevo i clienti nel suo piccolo quadrato per parlare delle loro grandi barche. Da ìl sono partiti progetti molto importanti.

Lei afferma che navigare significa rievocare la cultura marinaresca, in che senso?
La tipologia dello yacht di per se stessa offre un rimando alla tradizione della navigazione. Le barche da diporto non sono solo una forma di divertimento o un modo di fare turismo… se si decide di andare in Corsica su uno yacht invece di usare un mezzo più pratico, si sceglie di accettare una scomodità per essere ripagati dal fascino della navigazione.
Spesso capita di ripercorrere antiche rotte commerciali, o di incrociare bracci di mare dove si sono svolte battaglie navali che hanno determinato la storia moderna… navigare significa anche rievocare la storia della marineria. Questo è il “navigare in maniera colta”.

In un precedente articolo lei si prefigge il raggiungimento di un equilibrato binomio “uomo-barca”, cosa intende?
E’ importante sentirsi in perfetta armonia con la propria barca. E’ un equilibrio che si espande a ciò che ci circonda, alle persone e al mare, e che dona una grande sensazione di libertà. Ecco allora che il ruolo del progettista diviene fondamentale per raggiungere il perfetto equilibrio tra barca e armatore. Il progettista rappresenta quel fondamentale anello della catena che sta tra il sogno e la sua realizzazione. Tengo a precisare che il merito dei miei migliori progetti va spartito con i rispettivi armatori.

Lei ha progettato uno sloop di dimensioni straordinarie, di cui è previsto il varo tra due anni, è una “barca giusta”?
Lo “sloop” è un mega-sailer di quarantotto metri per un cliente italiano, che ha collaborato in maniera assolutamente speciale al progetto. Voleva una barca per fare grandi viaggi, e questo sloop è pensato per spostarsi velocemente e in sicurezza come una vera nave a vela. In estate sarà nelle acque del Mediterraneo, in inverno nel mare dei Caraibi, ed ogni tanto farà delle escursione nel Mare del Nord. Abbiamo depurato le sue forme fino a raggiungere una linea essenziale ed allungata per aumentarne le prestazioni a vela. Credo proprio che diventerà la barca dei suoi sogni.

Le sue linee sono molto snelle ed eleganti come quelle di un grande veliero d’epoca, è una rievocazione della tradizione navale?
Rispondo facendo mia una citazione di Renzo Piano: “un buon progetto nasce con una mano legata al passato ed una tesa al futuro”. L’esercizio progettuale dello sloop 48 si è generato dall’incontro tra tradizione navale e ipertecnologia. Lo scafo lungo quarantotto metri è realizzato in lega leggera, l’albero alto più di sessanta metri è in un unico pezzo di fibra di carbonio. La coperta in teak è “flush-deck”, ovvero completamente libera. La tuga è piccola e squadrata, volutamente non aereodinamica per un esplicito rimando agli yacht del passato. Gli ambienti interni sono spaziosi e completamente liberi grazie ad elementi strutturali in lega leggera. Abbiamo adoperato materiali di nuova concezione, ancora poco usati nella nautica da diporto. Sarà una barca robusta e velocissima, fatta per navigare comodamente nei mari di tutto il mondo.

I grandi yacht di oggi hanno spesso una poppa iper-funzionale, viceversa la poppa di questo sloop mantiene una linea pulita e slanciata, è un’ altro omaggio alla tradizione?
Il riferimento è corretto. La poppa del nostro sloop è pulita e slanciata ma siamo riusciti a soddisfare anche gli aspetti funzionali. La sua parte centrale scende in mare grazie ad un meccanismo idraulico: una “spiaggetta” che permette l’uscita del tender e si richiude per ripristinare l’integrità formale dello scafo. Rispettare la tradizione non significa privarsi delle comodità.

Sir Thomas Lipton aveva un caminetto in pietra all’interno del suo “Shamrock IV”, uno dei tanti J-class che usava per le regate della Coppa delle Cento Ghinee, oggi Coppa America, che purtroppo non vinse mai. Lei afferma che il comfort è dato da ciò che non è essenziale, ovvero dalla presenza di dettagli “inutili”. Quali sono questi dettagli oggi?
Anch’io preferirei avere il caminetto in pietra e non vincere la regata. Una barca di grandi dimensioni deve essere progettata come spazio architettonico: una libreria, una cucina professionale, una “spa” o la cantinetta per il vino, fanno parte di quei dettagli che gratificano oggi i nostri committenti. Un buon progettista deve saper capire i desideri del suo cliente, anche quando questi rimangono inespressi perchè ritenuti eccessivi o inconsueti su una barca. Tra la suite armatoriale e la zona relax del bagno ad esempio abbiamo usato delle paratie che diventano trasparenti a comando, per separare i due ambienti con una “sfumatura” di luce. I letti e gli arredi non toccano quasi mai il pagliolato ma, per aumentare la percezione spaziale, galleggiano. Nei bagni abbiamo usato la pietra, che viene posata in lastre di soli tre millimetri accoppiate ad un materiale molto leggero di derivazione aeronautica in nido d’ape d’alluminio.

Il “quadrato” è il cuore di una barca. In questo sloop è sia plancia di comando che salotto, come gestire questa versatilità d’uso con l’elevato livello di comfort richiesto?
Il quadrato dello sloop 48 nasce da un compromesso con le linee esterne, lo abbiamo pensato di proporzioni contenute per mantenere uno scafo slanciato, ma al suo interno è molto spazioso (50mq) e rigorosamente essenziale. Le finestre della tuga possono essere oscurate fino alla totale opacità, grazie ad un film di cristalli liquidi inserito nello stratificato di vetro. La timoneria interna e gli strumenti costituiscono una vera e propria plancia navale, ma quando la barca è in banchina o alla fonda vengono nascosti da pannelli per ottenere una configurazione “domestica” del quadrato. L’unica presenza d’arredo sono i divani e il tavolo, che paiono appena appoggiati.

Quali materiali avete usato negli interni e con quali accorgimenti?Questa è una barca dove ha molta rilevanza l’aspetto materico. Abbiamo privilegiato le sensazioni tattili e il calore percettivo che trasmette un materiale. Lo scafo all’interno è finito con “fasciame a vista”. In realtà è un effetto dovuto a un controfasciame che racchiude all’interno lo strato di materiale coibente e gli impianti tecnici. Enfatizzando il rapporto interno-esterno il teak della coperta viene riproposto nel pagliolato interno, in teak gommato bianco anzichè nero. I paglioli si fermano a qualche centimetro dallo scafo e una lama di luce bagna il fasciame per enfatizzare l’oggetto barca anche dall’interno.

Tra i suoi progetti di refit figura il “Tenace”, un rimorchiatore salvato dallo smantellamento e trasformato in yacht. Come ri-nasce questa barca?
Gli “explorer vessel” sono una nuova tendenza in campo diportistico e rappresentano il sintomo di una maggiore consapevolezza del patrimonio storico navale. Il rimorchiatore “Tenace” era stato costruito dai Cantieri Solimano di Savona e aveva lavorato nel porto di Genova; sul finire della sua carriera è stato acquistato da una compagnia monegasca. I miei clienti lo hanno rilevato al prezzo del ferro poco prima che andasse in disarmo. Siamo riusciti a salvare il fasciame e alcuni dettagli d’epoca come gli oblò. La tuga è stata modificata per un uso diportistico, mentre il motore, gli interni, e gli impianti sono stati completamente rifatti. I lavori sono stati eseguiti con buona maestria presso i Cantieri Navali di Sestri a Genova.

Possiamo parlare di un boom recente dello yacht design italiano?Sicuramente. Lo yacht design italiano è un settore in crescita da alcuni anni, ed è competitivo a livello internazionale. Le ragioni sono tante, non ultima una certa “genialità italiana”. In Italia oggi possiamo avvalerci di cantieri all’avanguardia, di mano d’opera raffinata e di bravi progettisti, sia architetti che ingegneri. Le commesse straniere non mancano. E’ un mercato che genera un indotto importante, e che sarebbe veramente un peccato sciupare.

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