Skip links

Piero Lissoni e il Wind Labyrinth della Design Week

Non c’è scaletta che tenga, con lui i copioni volano via come foglie al vento. A volte polemico, ironico, mai banale,  Piero Lissoni si racconta e racconta alla “sua maniera” Wind Labyrinth, l’installazione pensata per il cantiere Sanlorenzo a Cre-Action in occasione della Design Week di Milano. 

Piero Lissoni ©Veronica Gaido

«Molto spesso parliamo di mare e di oceani come se fossero territori illimitati, invece a me piaceva l’idea di conversare di labirinti marini, anche se non si vedono le pareti che li delimitano, come metafora della condizione umana, delle incertezze, delle difficoltà, dei vicoli ciechi e delle svolte sbagliate. Poi mi ispirava la poesia del labirinto non visibile, quello di Ulisse che crea una storia meravigliosa lungo un itinerario (labirinto) che diventa la più dura delle prove, perché al suo inganno si accompagna la disperazione: ma da esso si può uscire vincitori grazie alla perseveranza.

©Gionata Xerra

Con Massimo Perotti (Executive Chairman Sanlorenzo n.d.r.) abbiamo riflettuto sul messaggio da narrare a Milano. Partendo dal titolo Cre-Action ci siamo spinti a pensare un progetto tra creatività e azione. Così dopo la Macchina impossibile del 2023 che rifletteva sul ruolo dei combustibili di nuova generazione per ridurre l’impatto ambientale dello yachting e Sustainable Underwater Balance del 2024 attorno al tema della propulsione a idrogeno, abbiamo deciso di parlare di mare, di vento e di labirinti umani. 

©Gionata Xerra

Ho quindi costruito un labirinto di vele non più utilizzabili, fornite da Nautor Swan, l’ultimo marchio entrato a far parte della galassia Sanlorenzo. Un’opera immersiva che traduce l’essenza della navigazione in un’esperienza sensoriale avvolgente che diventa metafora del mare come spazio senza confini, dove il vento guida l’esplorazione e definisce il percorso», spiega Lissoni.

©Carlo Borlenghi

In un momento di cambiamento culturale e sociale come quello attuale, la nautica di lusso deve continuare a evolvere coerentemente con il mercato, mi riferisco in particolare all’ambiente, tema caro al Gruppo Sanlorenzo. Le piace la sostenibilità?

«Non la sopporto. Trovo che sia un mantra usato in maniera ridicola. La sostenibilità è un tema molto serio e merita di essere affrontato con responsabilità e concretezza. Non è un racconto da fare seduti in salotto. Troppo spesso si parla di riciclo in modo superficiale senza considerare l’importanza della progettazione iniziale e della vita dei prodotti. Concentrarsi su come costruire oggetti che durino nel tempo e su come utilizzare materiali e risorse con consapevolezza è fondamentale per un approccio veramente sostenibile».

©Gionata Xerra

Però lei collabora con un cantiere che ha fatto della sostenibilità una delle sue bandiere…

«È vero, ma la situazione è diversa: stiamo passando dall’ambito “salotto” a un contesto più serio. Sanlorenzo si impegna per l’ambiente da molti anni. La sua attenzione alla progettazione degli scafi mira a rendere gli yacht più efficienti, considerando aspetti come i materiali, il peso, l’efficienza energetica e i consumi. Questi sono i pilastri della sostenibilità, e in questo campo, Sanlorenzo è davvero all’avanguardia. Con Massimo Perotti condividiamo una visione molto simile».

©Carlo Borlenghi

Che matrimonio è il suo con Massimo Perotti?

«È un matrimonio sano, dove l’amore si intreccia con un pizzico di interesse».

©Gionata Xerra

Come sta evolvendo il concetto di spazio interno nel mondo del design nautico? «Sono vittima di me stesso perché ho sempre sostenuto di disegnare prodotti non comodi, ma nel mondo dello yachting tecnicamente le barche sono degli edifici che galleggiano dove ho cercato di portare la misura e la matrice dell’architettura, prestando particolare attenzione alle proporzioni e alla connessione tra gli spazi interni ed esterni. 

©Gionata Xerra

La standardizzazione del gusto a bordo. Non crede ci sia una certa omologazione nel modo di pensare le imbarcazioni? 

«Ha ragione, ma la scala dell’imitazione può anche essere vista come un segno di successo per un prodotto. Superare la difficoltà di pensare in modo diverso significa anche accettare che alcune innovazioni diventino parte della nostra quotidianità. Potrebbe farti arrabbiare sapere che altri non hanno fatto gli stessi tuoi sforzi, ma alla fine non è così sgradevole. Noi di Sanlorenzo siamo un’azienda unica: le barche che presentiamo sono tutte numeri zero, ovvero yacht senza un proprietario e senza le preferenze di un armatore che desidera personalizzarli secondo i propri gusti. Creiamo oggetti in scala uno a uno comunicando così la nostra visione di un cambiamento epocale che nessuno ha ancora osato intraprendere. È un rischio che richiede coraggio. A volte sono un po’ critico nei confronti della concorrenza: copiano le nostre idee e poi si presentano come leader di mercato, sostenendo di essere stati i primi…».

©Carlo Borlenghi

Lei è uomo più da motore o da vela?

«Non ho visioni ideologiche. La barca a vela ha il suo fascino: è bella, divertente e poetica, ma può anche essere piuttosto impegnativa. Personalmente, l’apprezzo soprattutto in contesti di regata e competizione, ma come utilizzatore domenicale preferisco decisamente il motore».

©Carlo Borlenghi

La vedremo progettare gli interni di uno Nautor Swan?

«È un po’ presto per dirlo, ma mai dire mai. Sono pronto a mettermi alla prova anche in questo ambito. Non sarebbe la mia prima esperienza: nel 2005 ho collaborato con Luca Brenta e Lorenzo Argento agli interni della barca a vela Ghost, lunga 36 metri, costruita dal cantiere olandese Vitters. È stata un momento fantastico perché ho lavorato in totale contrapposizione rispetto all’idea delle barche a vela dell’epoca. Inoltre, ho avuto il piacere di contribuire al progetto di Tribù, un explorer vessel di 50 metri realizzato da Mondomarine nel 2007 per Luciano Benetton, l’ho aiutato a disegnarlo, ho modificato il contenitore e ho progettato gli interni portando la mia visione in un contesto innovativo».

©Carlo Borlenghi

Il suo rapporto con l’arte?

«La mia è una relazione privilegiata perché sono un grande appassionato. Tuttavia, non sono un collezionista, piuttosto un fruitore, apprezzo l’arte senza la necessità di possederla».

Marta Gasparini

Leave a comment