Classe 1971, Carlo Ratti è un architetto e ingegnere italiano tra i più apprezzati al mondo. Mente dello studio Carlo Ratti Associati – con base nella sua città natale, Torino, e sedi negli Stati Uniti e nel Regno Unito – è animato da una curiosità e da una sete di innovazione che gli sono valse risultati e riconoscimenti a livello internazionale.
Non a caso è l’unica firma del design i cui lavori sono rientrati, per ben due volte, nella lista delle “Migliori invenzioni dell’anno” stilata da Time Magazine: il Digital Water Pavilion per l’Expo Zaragoza 2008 nel 2007 e la Copenhagen Wheel (una “ruota intelligente” che può essere montata su ogni bicicletta, trasformandola in bici smart) nel 2014.
Il suo obiettivo principale è quello di investigare l’impatto che le tecnologie digitali possono avere sull’architettura, sul planning e sul design. Intento che condivide con i suoi studenti del Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove dirige il MIT Senseable City Lab.
«L’architettura assorbe le trasformazioni tecnologiche del suo tempo e quella degli ultimi anni ha visto Internet entrare sempre più nelle nostre vite fino ad assumere una forma concreta, diventando un Internet of Things», ci racconta Carlo Ratti.
«L’architettura, in questo senso, può diventare una “terza pelle”, capace di sentire e manifestare la trasformazione dello spazio e il modo in cui interagiamo con esso.
Quest’innovazione è destinata a evolversi e ad essere assimilata sempre più dal costruito, fino a segnare per l’architettura una nuova era, quella “della tecnologia calma”, descritta dal grande informatico americano Mark Weiser. Un’era in cui la tecnologia è così radicata nello spazio che abitiamo da potere finalmente “recedere sullo sfondo delle nostre vite”, come un elemento onnipresente ma discreto».
Quando affronta questi argomenti, il direttore del MIT Senseable City Lab non può che parlare di architettura urbana sensing e actuating, cioè capace di sentire e rispondere in tempo reale ai cittadini e alle loro necessità; concetti che possono essere estesi anche ad altri settori dell’architettura. «Bisogna osservare le informazioni provenienti dai sensori non come un dato meramente numerico, ma come un input per creare nuovi paradigmi e trasformare lo spazio a ogni scala, in una casa così come a bordo di uno yacht.
Un esempio molto semplice viene da uno dei nostri ultimi progetti. Abbiamo trasformato un edificio esistente a Torino in un ufficio moderno che ospita la Fondazione Agnelli, all’interno del quale i lavoratori possono interagire con sensori per personalizzare le loro preferenze – dalla temperatura all’umidità – creando un microclima dinamico all’interno dell’edificio.
Al MIT, invece, stiamo lavorando al progetto Roboat, un esercito di barche autonome in grado di svolgere diverse funzioni: dal trasporto sui canali di Amsterdam al food delivery, dal tour per i canali fino alla raccolta dei rifiuti. Anche la loro intelligenza parte dalla loro capacità di acquisire dati dall’ambiente circostante. Roboat ha permesso, inoltre, di immaginare una sorta di ponte dinamico, che lascia il canale libero al passaggio di altre imbarcazioni e minimizza l’impatto che diversamente avrebbe un ponte statico. Lo abbiamo chiamato RoundAround».
Il mondo dell’acqua e tutto quello che gli gira intorno, nautica inclusa, ha sempre affascinato molto Ratti, che ama pensare a un’imbarcazione come a un’unità abitativa innovativa. «Lo yacht impone un progetto di coesistenza di funzioni in uno spazio più o meno limitato. A questo si aggiunge un ulteriore grado di complessità, dato da una struttura statica in movimento. È una sfida bellissima per un designer o un architetto».
La ricerca sull’acqua è stata la protagonista indiscussa anche del Digital Water Pavilion per Zaragoza Expo 2008. «Il progetto è nato dall’osservazione dell’acqua come elemento mutevole e, per sua natura, inafferrabile», sottolinea Carlo Ratti. «Ci siamo chiesti, quindi, cosa sarebbe accaduto utilizzando l’acqua per il più statico degli elementi architettonici: la parete. Questo gioco di contrasti ha prodotto un risultato inedito: l’acqua, cadendo, può essere programmata per assumere diverse forme, dando vita a lettere, simboli o motivi. L’obiettivo era quello di dimostrare come architettura, natura e tecnologia possano dialogare pur preservando le proprie identità».
Dopo il successo riscontrato a Saragozza e a Expo Milano 2015, dove ha firmato il Future Food District, che cosa riserverà il futuro per l’uomo che è stato eletto dalla rivista Wired tra le 50 persone che cambieranno il mondo? A fine dicembre 2019 si è aperta la Biennale di Shenzhen UABB2019, di cui Ratti è stato co-curatore insieme al Politecnico di Torino e Scut – South China-Torino Collaboration.
«È stata la prima biennale al mondo a focalizzarsi sulle tematiche legate all’avvento dell’Intelligenza Artificiale nelle nostre città che sta rendendo il paesaggio urbano capace di “vedere” e reagire alla nostra presenza», specifica l’architetto. «L’obiettivo del team curatoriale era quello di promuovere una riflessione su quale tipo di città vogliamo veramente costruire domani, con una piattaforma aperta a studenti e professionisti di tutto il mondo. Insomma, è iniziata oggi, ma vuole essere una piattaforma di discussione del domani».
Un domani che sta a tutti noi immaginare, come crede fermamente Carlo Ratti che ha voluto far sua la definizione di design dello scienziato sociale Herbert Simon: “La scienza studia il mondo così com’è, il design come il mondo potrebbe essere”.