Il nostro vissuto e le nostre radici ricoprono un ruolo fondamentale nella vita di ciascuno di noi. Alcuni ne lasciano persino traccia nelle nostre azioni, se non addirittura nel nostro lavoro.
È certamente così per Nathalie e Virginie Droulers, sorelle gemelle destinate alla bellezza. Il padre Jean-Marc, infatti, è stato per oltre 40 anni l’uomo simbolo dell’Hotel Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como, simbolo della Dolce Vita in tutto il mondo. Un’infanzia, dunque, trascorsa in mezzo alla bellezza, che per loro è diventata vera passione, alimentata anche dalla madre Roberta, arredatrice, e dalla nonna paterna Jeanne-Marie, decoratrice d’interni. Da qui alla scelta di intraprendere la carriera di architetto (Nathalie) e di interior designer (Virginie) il passo è stato naturale: entrambe hanno iniziato le rispettive carriere a New York, per poi decidere di fondare insieme lo studio milanese Droulers, firmando progetti in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, passando per la Francia e la Svizzera.
E se all’inizio il loro core business era incentrato sui settori dell’alberghiero, dell’ufficio e del residenziale, da una decina d’anni hanno fatto il proprio ingresso nello yacht design. «Difficile dimenticare la nostra prima volta e non solo perché non la si scorda mai», raccontano lasciando trapelare un sorriso riconoscibile anche al telefono. «Un nostro cliente, per cui avevamo già eseguito diversi progetti residenziali, aveva comprato un rompighiaccio che per tre mesi era rimasto chiuso in un dock a Malta ed era in condizioni impresentabili: ci ha chiesto di occuparcene nonostante non avessimo alcuna esperienza in materia, anzi sottolineando che ci voleva proprio per quello, per avere qualcosa di diverso e di non stereotipato. Non è stato facile, anche perché l’imbarcazione non aveva una coibentazione interna che potesse renderla adatta alla nuova esigenza di vivibilità, era totalmente da trasformare, ma ce l’abbiamo fatta.».
Da allora, le occasioni non sono mancate e il passaparola ha fatto il resto: a oggi il loro curriculum vanta quattro imbarcazioni (tre a motore e una a vela), tra cui il 73 metri Yalla di Crn e il Wally Kauris IV.
«La nostra fortuna, entrando in un settore per noi così sconosciuto e comunque non semplice già di per sé, è stata quella di avere avuto clienti che cercavano progetti caratterizzati da regole estetiche non codificate e quindi non associabili solamente al mondo nautico», proseguono. «Volevano, per esempio, che le diverse zone avessero continuità tra loro ma che allo stesso tempo fossero realizzate con materiali e colori diversi da ambiente ad ambiente: un approccio, quindi, molto simile a quello che noi abbiamo sempre avuto nel residenziale. Non vogliamo dire che non vi siano differenze: il mondo nautico ha molte restrizioni, richiede tanti compromessi tra tecnica ed estetica; rispetto a una casa, una barca va costruita al millimetro, come se si trattasse di una scena teatrale. Lo switch è molto affascinate, perché ciò fa sì che quando si torna al residenziale si abbia un occhio molto più “micro”, allenato al dettaglio, perché su una barca si guarda sempre “più piccolo”, cosa che non si può fare invece in una casa perché altrimenti perderebbe di charme».
Se il transito dal residenziale allo yacht design è stato morbido e quasi naturale, per Nathalie e Virginie Droulers è stato maggiormente segnante il passaggio dal motore alla vela. «Questa è stata forse la sfida più grande, perché una barca a vela deve essere anche molto performante, quindi vi sono enormi restrizioni di peso, materiali e flessibilità: sono due mondi veramente diversi. Di conseguenza, progettare la barca vela è stato molto interessante, perché in questo caso ci siamo davvero confrontate con una realtà che non conoscevamo».
Per quanto riguarda la scelta dei materiali, le due sorelle non hanno dubbi: «tanto legno e che siano essenze di carattere, dal pino spazzolato al castagno, fino al teak acidato industrialmente che abbiamo utilizzato sulla barca a vela. Ci piace molto anche giocare con gli abbinamenti, perché ci dà la possibilità di spaziare e con il legno si può navigare su tanti fronti. Per un progetto, inoltre, ci siamo spinte addirittura a portare a bordo un vecchio parquet, che avesse una sua storia, una sua anima, e che riscaldasse lo spazio. È una soluzione abbastanza atipica nello yacht design e il risultato è stato magnifico, perché quel legno sembra faccia parte della barca da sempre e ha donato uno charme diverso a tutto l’insieme». Tradizione e innovazione, dunque.
E come sarà il futuro dello studio Droulers? «Fortunatamente l’emergenza pandemica che ha investito l’economia mondiale non ci ha piegato», spiegano. «Abbiamo terminato due grosse imbarcazioni con non poche difficoltà organizzative – uno dei due yacht era all’estero e non è stato semplice capire come comportarci per gli spostamenti – e abbiamo concluso la progettazione di varie proprietà in Italia. Il lavoro da remoto ha fatto sì che la parte di progettazione non si fermasse, mentre le parti di installazione e di cantiere sono state più difficili da gestire, ma attraverso video e foto siamo comunque riuscite a controllare la qualità dei lavori. Per quanto riguarda il futuro, invece, oltre al residenziale e allo yacht design, sui quali ultimamente siamo più concentrate, uno dei nostri sogni è tornare a misurarci con l’hotellerie, che amiamo molto. Non è capitato ancora, ma speriamo che arrivi presto un’opportunità perché è un mondo che ci appartiene e per noi è molto naturale vederci impegnate in questo ambito. Da parte nostra non abbiamo mai forzato occasioni, non le abbiamo mai cercate: sono sempre capitate. Quindi, vediamo che cosa il futuro avrà in serbo per noi».