C’è sempre una prima volta. Nella vita privata come in quella professionale. Un momento destinato a segnare una svolta. Un cambiamento. Per Sergio Cutolo, fondatore di Hydro Tec, quel momento arrivò quando ebbe modo di conoscere Stefano Carletti. Esploratore, subacqueo, scrittore, Carletti era alla ricerca di uno scafo che lo aiutasse a coronare il suo sogno: tornare sul relitto dell’Andrea Doria, a 50 anni dalla sua prima immersione, per apporre una targa commemorativa.
All’epoca il termine explorer non era ancora entrato a far parte del vocabolario nautico, ma quell’incontro sancì l’inizio di una nuova era per il settore nautico nella quale Hydro Tec, arrivato alla boa del 25° anno di attività, ha giocato un ruolo centrale. «Gli aspetti tecnici per Carletti erano una priorità, quasi un’ossessione» ricorda Sergio Cutolo, «Aveva in mente linee d’acqua, stabilità, motorizzazione, spazi. Definimmo il progetto dal punto di vista tecnico e, in virtù di queste considerazioni, nacque la convinzione di fare una barca nuova. Ricordo ancora», prosegue Cutolo, «che a quel punto tornai da Carletti facendogli presente che sarebbe stato opportuno individuare qualcuno a cui affidare il design. Al che lui mi ripose: – perché mai? A me interessa soprattutto la funzione, per il resto segui tu anche questo aspetto. Più la barca sarà brutta e meglio sarà – Come inizio non fu male», commenta sorridendo Cutolo.
Nacque così il Naumachos che, alla fine, proprio brutto non era alla luce dell’incredibile successo che riscontrò. Questo scafo fu il primo esemplare di una serie che, se da un lato ebbe il merito di inaugurare un nuovo segmento di mercato, quello dei pocket explorer, dall’altro consacrò il ruolo di Hydro Tec sulla scena nautica internazionale. E, numeri alla mano, lo studio guidato da Sergio Cutolo vanta il maggior numero progetti legati a questa tipologia di barche. «Il Naumachos fu un’imbarcazione innovativa per diverse ragioni», continua Cutolo: «prima di tutto le dimensioni non superavano i 24 metri; in secondo luogo la filosofia progettuale sposava l’idea di avere un solo motore; il modo in cui furono concepiti gli spazi a bordo mutuava come concetto da quelli presenti sulle navi da lavoro. Infine l’autonomia era garantita da serbatoi capaci di accogliere fino a 40 mila litri di gasolio».
Il Naumachos costruito dal Cantiere Navale di Pesaro fu il capostipite di una lunga serie di progetti di explorer yacht che hanno permesso a Hydro Tec di estendere il suo raggio d’azione su questo fronte, attivando la collaborazione con numerosi cantieri: dal Cantiere delle Marche al Cantiere Navale Vittoria; da Palumbo Superyacht fino a Inace, una realtà brasiliana. Un capitolo importante di una storia iniziata 25 anni fa. Ma il percorso di Sergio Cutolo parte da ancora più lontano. Esattamente 35 anni fa, altro anniversario, quando dopo una laurea in Ingegneria navale conseguita all’Università Federico II di Napoli, Cutolo entra in Cetena, il centro di ricerche che fa capo a Fincantieri. «Da appassionato velista» commenta Cutolo «il mio sogno era progettare barche a vela.
All’epoca avevo come professore Mino Simeone il cui nome è legato a Minaldo, imbarcazioni da regata costruite in lamellare, una tecnologia all’epoca all’avanguardia e che portò al successo scafi come Cuor di Leone alla One Ton Cup di Napoli del 1980». A giocare un ruolo centrale nel percorso di formazione di Cutolo fu l’approccio al progetto che attinge alla cultura navale più profonda, quella in cui l’aspetto funzionale prevale su quello estetico-formale. E proprio la ricerca delle prestazioni in chiave progettuale è ancora oggi la cifra stilistica di ogni barca firmata Hydro Tec. Rappresenta il valore aggiunto di una filosofia e di un metodo che nascono dall’esperienza maturata da Cutolo in campo navale. Un percorso che si è arricchito d’incontri con figure di grande calibro diventate poi un punto di riferimento.
A giocare un ruolo centrale sono stati in particolare due personaggi: Paolo Caliari e l’Ingegnere Alcide Sculati. «A lui devo molto» commenta Cutolo «Quando entrai in Baglietto mi prese sotto la sua ala. È stato una persona speciale non solo per la grande conoscenza della materia, quanto per la sua onestà intellettuale. Mi ha insegnato a gestire un ufficio tecnico. Conservo ancora i suoi appunti scritti a mano che ogni tanto vado a rileggere». Quello trascorso in Baglietto fè stato un periodo che ha lasciato un segno indelebile nella carriera di Cutolo. «All’epoca, quando arrivai, il cantiere era alle prese con la costruzione di Italia, il 12 m S.I. progettato da Giorgetti e Magrini. Per me era un sogno che si avverava. Fu però la prima e ultima esperienza che ebbi in campo velico. A colpirmi fu il grande fermento che segnò quella stagione di Baglietto, soprattutto sul fronte tecnologico. Ricordo che mentre in un capannone si avviava la costruzione dello scafo di Coppa America in quello accanto prendeva forma Adler, un altro progetto avveniristico di Alberto Mercati. Erano entrambi progetti fuori dell’ordinario, ambedue in lega leggera, così simili ma anche così diversi. E pensare che un 12 metri S.I. all’epoca aveva spunti che superavano di poco i 10 nodi mentre, di contro, Adler era stato concepito per raggiungere i 35 nodi.
A distanza di oltre 30 anni il mondo si è capovolto. Da un lato abbiamo scafi di Coppa America che raggiungono i 40 nodi con i foil mentre nel motore la tendenza non è la velocità pura, anzi al contrario le prestazioni in questo caso si misurano sull’efficienza dei singoli aspetti che compongono il progetto navale». Ecco dunque ancora una volta il tema delle prestazioni ritornare al centro del dibattito e della filosofia progettuale di Hydro Tec che, oltre al filone explorer, annovera altre realizzazioni importanti, come l’80 metri Dragon di Palumbo Superyacht, a oggi il megayacht più grande progettato dallo studio, oppure il nuovo Aicon 66. Una conferma che un progetto compiuto nasce dall’incontro tra la forma e la funzione. O, per dirla meglio, dall’unione tra design e architettura navale. Un capitolo dove Hydro Tec non è secondo a nessuno.