C’è ancora spazio per rimanere stupiti da qualcosa? Non lo nascondo. Era già da un po’ di tempo che riflettevo su questo tema. Poi, la risposta è arrivata quando meno me lo aspettavo. È bastato osservare mio figlio di sei anni giocare con la sua barca a vela giocattolo. Niente di più che un pezzo di legno con un albero, una randa, un fiocco e il timone. La meraviglia e lo stupore nei suoi occhi che seguivano la barca navigare a pochi metri dalla spiaggia mi hanno spinto a fare più di una riflessione. Forse bisogna tornare ad avere gli occhi di un bambino per provare emozioni vere, autentiche, senza filtri. In un contesto dominato dalla tecnologia, dall’eccesso d’informazioni, dalle sovrastrutture si è persa la propensione a cogliere la vera essenza delle cose. Distinguere cioè ciò che è realmente utile e necessario da quello che invece non lo è proprio. Il modello di vita al quale oggi facciamo riferimento ci impone una serie di presunte necessità di cui non avvertiamo il bisogno. Un esempio? Basti pensare alle funzioni disponibili su uno smartphone: quante di queste realmente le usiamo quotidianamente? Ma non c’è solo l’aspetto tecnologico. Pensiamo al modo in cui abitiamo una casa e agli oggetti che entrano a far parte della nostra vita quotidiana.
In passato quando ero direttore di Yacht Design, in più di un’occasione m’interrogavo, e soprattutto stimolavo, la platea dei designer a riflettere sul modo in cui venivano concepite e pensate le barche di allora. Alla domanda: “Che bisogno c’è di avere, per esempio, due aree living, una più formale e una meno, a bordo della stessa barca? Quello stesso spazio non può invece essere destinato a qualcos’altro?” Le risposte che ricevevo erano più o meno le stesse: assecondare le esigenze che arrivano dalla clientela. Nulla da eccepire naturalmente, ma la questione è se in effetti l’eccessiva ridondanza possa in qualche modo diventare un limite più che un’opportunità dal momento che frammenta e fraziona in maniera eccessiva la vita di bordo. Ecco perché non mi stupisce la ragione per la quale uno yacht designer come Espen Øino, dalla cui matita sono usciti capolavori del calibro di Octopus e Skat, solo per fare due esempi, abbia deciso di progettare la sua di barca solo attorno ai fondamentali. Per Bruttino, questo il nome, non ha voluto aria condizionata ma solo un’efficace ventilazione naturale. L’elettronica è stata ridotta al minimo essenziale, e l’apertura delle finestrature laterali, per esempio, avviene solo manualmente.
Un approccio molto radicale, certamente, che sposa però l’idea di riportare la vita di bordo alla sua vera essenza. Solo in questo modo, a mio avviso, si può cogliere con più profondità il senso di assoluta libertà che il mare riesce a trasmettere. Con troppe distrazioni a bordo tutto questo viene inevitabilmente a mancare. Soprattutto in un’epoca, quella che viviamo, dove la priorità è ristabilire una connessione senza filtri con la natura unico e vero serbatoio di emozioni autentiche. Proprio come quelle che ha provato mio figlio mentre giocava con una barca a vela di legno spinta solo dalla forza del vento.
Matteo Zaccagnino