Cielo coperto, vento leggero da NNW a 3-4 nodi, mare appena increspato da un’onda rotta. Ma domenica a Les Sables d’Olonne, costa francese del Golfo di Biscaglia, la partenza del Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza, è stata spettacolare nonostante la meteo uggiosa. Spettacolare perché i 40 navigatori (numero record di partecipanti) della decima edizione della regata nata nel 1989, vent’anni dopo la Golden Globe Race, mettevano la prua verso Ovest e verso la rotta che porta a doppiare Capo Horn, l’Everest della vela. Il percorso è sempre lo stesso: 23.400 miglia (45.000 km) sull’Oceano Atlantico, l’Indiano, il Pacifico del Sud e di nuovo l’Atlantico per tornare a Les Sables d’Olonne lasciando a sinistra i capi di Buona Speranza, Leeuwin e Horn. Obiettivo per il vincitore: migliorare il record stabilito nella ottava edizione del 2016 con 74 giorni, 3 ore, 35 minuti e 46 secondi dal francese Armel Le Cléac’h.
La prima volta nel 1989
E sono francesi 26 dei 40 solitari. Gli altri, tra cui due donne e due portatori di un handicap, arrivano 3 dalla Gran Bretagna, altrettanti dalla Svizzera, 2 dalla Germania e 1 ciascuno da Belgio, Cina, Giappone, Italia, Nuova Zelanda e Ungheria. Ma i francesi sono ovviamente i favoriti. Tutti i vincitori delle nove edizioni del giro del mondo sono stati infatti navigatori francesi. A cominciare da Titouan Lamazou che vinse la prima edizione con un tempo di poco superiore a 105 giorni. E il limite dei 100 giorni resse fino alla quarta edizione quando, sempre un francese, Michel Dejoyeaux,, fermò il cronometro a 93 giorni. Seconda dietro Desjoyeaux la navigatrice inglese Ellen MacArthur che tuttavia non era la prima donna a partecipare al giro del mondo. La prima, Catherine Chabaud, aveva corso la terza edizione chiudendo al sesto posto dei 6 arrivati su 15 partiti.
L’Imoca 60
60 piedi (18,28 metri) di lunghezza, 4,50 metri di baglio, un albero di 29 metri, una superficie velica di 250-270 mq nelle andature strette e di 500-600 mq nelle portanti. Ė il ritratto di un Imoca 60 della classe IMOCA (International Monohull Open Classes Association) nata nel1991. Con i loro skipper sono gli altri protagonisti del Vendée Globe. Nel corso degli anni la regola di stazza si è costantemente evoluta sui temi della leggerezza, dell’affidabilità, della sicurezza e della velocità. Fino ad arrivare, nel 2015, a Safran, un progetto dello studio francese VPLP di Marc van Peteghem-Vincent Lauriot Prévost e Guillaume Verdier, costruito dal cantiere francese CDK-Technologies di Lorient e primo IMOCA 60 dotato di foil. Una soluzione progettuale stimolata anche dalla regola di stazza che da allora impone albero alare e chiglia one design.
La rivoluzione dei foil
Nel 2016 c’erano sei barche-foil sulla linea di partenza. Quattro anni dopo erano 19. A questa 24 su 40. Ma va ricordato che, sempre nell’edizione del 2016-2017, dietro le prime quattro barche-foil, al quinto e sesto posto (con il quinto staccato dal quarto di sole 10 ore dopo 80 giorni di navigazione) c’erano due barche senza foil. Segno di una competitività non intaccata per le non-foil e dell’importanza cruciale del fattore umano. Oltre che sui foil, che permettono di “volare” anche a 40 nodi (il doppio delle barche di prima generazione) e che dalle prime forme a L sono passati a forme a C che consentono di “ritirare” le appendici all’interno dello scafo migliorando prestazioni e conduzione in situazioni estreme, si è molto lavorato anche su scafo e piani di coperta. Ma per dare un’idea delle possibilità che vengono dai foil basti dire che in una transatlantica del 2023 il tedesco Boris Hermann ha percorso 641,13 miglia in 24 ore alla media di 26,71 nodi.
Manuard e il suo bow scow
L’ingresso dei foil e la navigazione in volo ha portato a scafi sempre più “piatti” così come, la necessità di proteggere il navigatore, ora alle prese con velocità impensabili anche per una barca all’insegna delle prestazioni come l’Imoca 60, ha imposto di ridisegnare il pozzetto e la tuga realizzando una vera e propria “cellula di governo”. Altro elemento di svolta la forma della prua. A imprimere la svolta il progettista Sam Manuard che per il giro del 2020-2021 disegnò L’Occitaine en Provence, un Imoca 60 con la prua a scow. Un elemento che fin dai vincenti Mini Transat ha distinto i suoi progetti. E anche questa volta Manuard è sulla linea con due suoi progetti, entrambi con prue alte e tonde, affidati a due favoriti.
Anche le no-foil fanno parte delle novità
I progetti di Manuard dovranno confrontarsi con una serie di Imoca 60 costruiti appositamente per il decimo Vendée Globe frutto del lavoro di altri nuovi e vecchi progettisti specializzati in Imoca. Primo fra tutti Guillaume Verdier che firma cinque dei dieci Imoca-foil varati tra il 2022 e il 2023 e che fanno il loro esordio al giro del mondo. Con due nuovi progetti, assieme a Sam Manuard, è poi la coppia composta da Antoine Koch e lo studio, grande esperto di scafi oceanici, Finot- Conq mentre lo studio VPLP di Marc van Peteghem e Vincent Lauriot Prévost ha una sola novità in gara. Ma tra le new entry vanno segnalate anche le due no-foil firmate dal francese David Raison (altro promotore della prua a scow) al quale si devono le barche gemelle di Jean Le Cam (col suo no-foil sesto nel 2016) e di Eric Bellion entrambi costruite da Persico Marine.
Un’avventura umana e tecnologica
Tornando però alla partenza avvenuta sotto un cielo nuvoloso e con poca aria, ma sempre con la folla che distingue il via del giro del mondo (hanno visitato il Village di 30.000 mq ben due milioni e mezzo di persone) la decima edizione del Vendée Globe si annuncia come sempre ricca di spettacolo. A metterlo in scena i 40 navigatori con le loro storie, un lungo elenco di favoriti, i tanti risvolti tecnici per la presenza di barche ormai collaudate e di nuove barche di molti progettisti. E poi Lui: il Grande Oceano che a tutti, uomini e barche, riserverà la durissima prova che è il Vendée Globe, la grande avventura della vela in solitaria attorno al mondo.
Emilio Martinelli