Skip links

Mario Pedol & Nauta Design: all’insegna dell’eleganza

“L’equilibrio tra forma e funzione è il risultato di una magica combinazione grazie alla quale si genera un oggetto che rimane nel tempo”: così Mario Pedol sintetizza la sua filosofia progettuale. E ci racconta tutti i segreti di oltre vent’anni di successi del suo prestigioso studio milanese.

Ho attraversato l’Atlantico nel ‘81 con un Oyster 37’ disegnato da Holman & Pye: 3700 miglia di mare aperto con solo duecento litri d’aqua dolce… eravamo giovani!”. Ma la regata più importante Mario Pedol, insieme a Enzo Moiso e Massimo Gino, l’ha vinta grazie a una idea. La grande avventura inizia nel settembre del ‘86: tre ragazzi approdano al Salone Nautico di Genova a bordo del primo “Nauta”, il 54 piedi disegnato in collaborazione con Scott Kaufmann (allievo del “maestro” Olin Stephens). Lo scafo è bello e veloce. Ha una estrema coerenza delle manovre in coperta e un pozzetto doppio: a poppa quello operativo per l’equipaggio e al centro quello per gli ospiti. Il layout degli interni è funzionale, ben pensato in ogni dettaglio e sorprendentemente luminoso. Una barca “migliore” delle altre. La determinazione dei tre progettisti viene premiata. Sono due i Nauta 54’ venduti in quel salone e un terzo viene ordinato a breve distanza, a cui segue il Nauta 57’, nato dallo stesso stampo, poi un 65’ ed un 70’ con linee d’acqua di Bruce Farr.

Nei primi anni ‘90 la crisi di tangentopoli imperversa e una brusca manovra permette ai tre soci di superare la forte crisi del settore. Forti dell’apprezzato “nauta-concept”, vendono la struttura produttiva e aprono la società di progettazione e consulenza “Nauta Yachts”. Nella luminosa mansarda di Via Mascheroni 19, tra i tetti della Milano bene, concepiscono barche a vela dalla linea inconfondibile, affiancando l’armatore dal primo layout fino al varo.

“Nauta Design” è il marchio con cui firmano i progetti in partnership con i migliori architetti navali, che hanno il compito di affinare la parte della performance idrodinamica: da Bruce Farr a Reichel Pugh e Doug Peterson. Nasce così il cruiser-racer di 84’ “My Song” il terzo di Pier Luigi Loro Piana, l’elegantissimo “Kirribilli II” di Renzo Piano, l’ 80’ e 100’ progettati per il noto cantiere “Southern Wind Shipyard” di Capetown.

Nel 2002 la Toy Marine sceglie Nauta per la progettazione dell’intera gamma di motor-yacht ispirate ai lobster del Maine, dal divertente Toy 36’ al 51’ e dal 68’ al nuovissimo 110’. Nauta ne cura anche le linee di carena grazie all’esperienza avuta con la Bertram nei primi anni ‘90. Nel 2005 Nauta riceve da Beneteau l’incarico di ridisegnare gli interni dell’Oceanis 50’. La risposta del mercato è tale che la casa francese, leader mondiale nella produzione in serie di imbarcazioni, estende l’incarico all’intera gamma di Oceanis 46’, 43’, 37’, 34’ e 31’.

A ventidue anni dalla nascita il know-how aquisito consente a Nauta Yachts di offrire un global management a 360 gradi: dalla progettazione al brokerage, dal charter al mercato dell’usato. Al centro sta sempre l’armatore.

Mario, la sua navigazione come progettista di barche prende il largo dallo studio di Holman&Pye e di Scott Kaufmann. Da allora molto del metodo progettuale è cambiato. Cosa invece è rimasto uguale?
Da allora quello che non è cambiato è quell’indefinibile aspetto di equilibrio tra forma e funzione. E’ il risultato di una “magica combinazione” grazie alla quale nasce un oggetto che rimane nel tempo. E’ quella eleganza gradevole all’occhio che resiste negli anni. Questa era la prerogativa di entrambi gli studi dove ho cominciato. Un’altra costante nel tempo è stata la dimensione “su misura” del progetto. E ogni progetto di barca è la storia di un rapporto con il suo armatore… che poi spesso diventa un amico.

Quel “magico punto di equilibrio” tra forma e tecnica, parlando di architetture dinamiche, è qualcosa che cerchi nel disegno preliminare o si sviluppa durante il progetto?
L’elemento tecnico è uno degli ingredienti fondamentali ed è quello che è più cambiato nel tempo. La tecnologia dei materiali compositi, i software e gli strumenti di misura delle performance, dalle vasche navali ai CFD (Computational fluid dynamics) ci permettono di esplorare “n” alternative prima di mettere uno scafo in acqua. Ma oggi come allora quel magico equilibrio… o c’è o non c’è.

I primi Nauta mostrarono da subito un’idea precisa su come deve essere la barca migliore per navigare, non solo bella e veloce. Un “nauta concept” che vi ha permesso di crescere e superare la bufera dei primi anni ‘90, raggiungendo mete progettuali ambiziose. Ancora oggi i Nauta conservano il fascino di quella “equilibrata coerenza” che li aveva premiati da subito. Una formula magica che si genera assieme al futuro armatore o in collaborazione con i migliori naval architects?
Entrambe le cose. La formula di “dialogare” con l’armatore è una delle nostre motivazioni principali, ed è appassionante poichè permette di guardare al godimento dell’oggetto barca. Prima di progettare, ci mettiamo nei suoi panni per immaginare il tipo di vita a bordo e l’utilizzo che intende farne. Mentre la formula di lavorare in team con i migliori naval-architects è interessante perchè ci permette di approfondire anche la parte tecnica della performance idrodinamica. Inizialmente noi ci occupavamo solo della parte estetico-architettonica, della coperta e degli interni. Oggi abbiamo aquisito la conoscenza specifica per progettare “in-house” anche le water lines, il rig e le appendages (le linee d’acqua, il piano velico e le appendici, ndr), e ci interfacciamo con i naval architects nella progettazione finale ed esecutiva. Questo è stato possibile grazie a un rapporto di estrema fiducia reciproca.

A venticinque anni dalla prima barca, non hai perso la motivazione per affrontare progetti molto impegnativi. Stai ancora cercando la barca perfetta?
Fortunatamente la barca perfetta non esiste, altrimenti sarebbe finito il nostro divertimento. Ogni tipologia esercita il suo fascino e dal sailing-yacht al cruiser-racer, dall’expedition-yacht al fast-commuter, ogni progetto pone una sfida specifica: il bello è occuparsi ogni volta di un tema diverso.

L’84 piedi “MySong ” è una barca sorprendente. E’ stato soprannominato “Dr Cruiser & Mr Racer”; come si è sviluppato questo progetto?
Il MySong 84’ è il nostro cruiser-racer più estremo. Il terzo che realizziamo per lo stesso armatore, e con il quale esiste una solida amicizia. Lavorare con Pier Luigi Loro Piana è molto stimolante per la sua voglia di partecipare al processo creativo ed è molto “challenging” per gli obbiettivi che si pone. E’ un cliente “faticoso” dal punto di vista progettuale, ma altrettanto appassionante per il suo grande entusiasmo e la creatività.

La richiesta dell’armatore era di avere una barca veloce in regata e comoda in crociera, ed è venuta fuori una barca anche molto bella… come si coniuga “bellezza e velocità”?
Spesso i clienti arrivano da noi per una sintonia nei modi di pensare. Con Pier Luigi Loro Piana in particolare condivido tre priorità nel progetto di una barca: performance, estetica e funzionalità. La sfida però è stata portata agli estremi dalla “trasformabilità” della barca: dalla crociera tranquilla (si fa per dire) alla regata di alto livello. E’ una delle poche barche che al momento del varo pesava meno del previsto, solo 29 tonnellate per 84 piedi. Un obbiettivo che abbiamo raggiunto progettando gli interni in fibra di carbonio e ad elementi rimovibili; al cui risultato ha contribuito Cookson, il noto costruttore neozelandese che si è trovato la parola “remouvable” su molte voci del capitolato di costruzione.

Tra i progetti disegnati in collaborazione con Reichel Pugh troviamo “All Smoke” il 78’ costruito da Southern Wind e risultato vincente alle “Rolex Cup” di Porto Cervo del 2007, nella classe Mini-Maxi IRC. Un’altro cuiser-racer da primato?
“All Smoke” è la sorella piccola del “MySong” per via della simile distribuzione interna e il layout di coperta, ma rispetto alla lunghezza ha un dislocamento meno estremo: pesa 5 tonnellate in più e ha sei piedi in meno. E’ il classico cruiser-racer con gli interni convenzionali; gli arredi sono in teak e le paratie in sandwich. E’ il quarto della fortunata serie Reichel Pugh – Nauta 78’, il primo era il “Farniente”. L’armatore di “All Smoke” si è impegnanto a mettere insieme un team di regata di alto livello ed ha ottenuto risultati importanti con le vittorie ai mondiali Maxi Yacht di Porto Cervo.

Il Southern Wind 80’ “Acaia Cube” vince il premio “Millennium Yacht Design Award” per le nuove unità al Seatec di Carrara del 2007. Qual’è la combinazione vincente?
“Acaia Cube” ha introdotto l’elemento deck-house nel cocktail Nauta Design. E mettere una deck-house in modo non invasivo su un 80 piedi è una vera sfida, perchè può costituire un elemento di interruzione negli interni e in coperta, oltre a risultare di ostacolo alla visibilità verso prua. Ma consente di ottenere un “saloncino” godibile in larghezza e in altezza solo grazie a un “collage” di incastri ben riuscito. Abbiamo così armonizzato questo elemento sia nelle linee generali della barca che nel layout degli interni, ottenendo un buon risultato. La cabina armatoriale rimane da sola a prua offrendo grande privacy e spazio all’armatore. Le cabine degli ospiti sono a poppa. Alle sue spalle il deck-saloon è il cuore della barca, che funziona sia come punto di aggregazione sia come elemento di separazione. L’equipaggio rimane isolato all’estremità della poppa, una soluzione ormai collaudata per accorciare i percorsi. La sala macchine è situata in posizione baricentrica, sotto il deck-saloon.

Il Southern Wind 100’ è l’ammiraglia della casa sudafricana e nel contempo esprime al meglio la filosofia Nauta. Un’altra combinazione vincente?
“Farewell” è il primo SouthernWind 100’ richiesto al cantiere da un armatore che aveva apprezzato “Acaia Cube”. Il suo desiderio era di mantenere gli aspetti positivi dell’ 80’ ma con un deck-saloon più spazioso e una cabina per gli ospiti in più. Questo progetto è stato uno dei nostri maggiori successi: dieci barche vendute di cui sette già consegnate.

L’elegantissimo “Kirribilli”, lo sloop co-progettato in totale sintonia con il suo armatore: Renzo Piano. Come in un workshop?
Renzo Piano si è presentato alla prima riunione con la pianta degli interni da lui disegnata. Ha avuto le idee molto chiare su come avrebbe voluto la propria barca: elegante, veloce, sensibile sotto vela e… divertente! Si è creato un buon feeling fin dal primo incontro e dopo un quarto d’ora ci davamo già del “tu”. Ho apprezzato in particolare una sua frase: “Mi piace il vostro lavoro perchè dà una sensazione di calma”. In effetti non è nella nostra natura cercare gli eccessi, che spesso sono fini a se stessi, e questo aspetto caratteriale credo sia uno dei motivi per cui ha scelto noi come partner nella progettazione della sua barca. E’ una persona intelligentissima, ed è stato molto stimolante e gratificante passare insieme delle giornate a progettare… incontrandoci nei medesimi percorsi mentali.

Ma il “Kirribilli” rimarrà una “barca-laboratorio” per sempre?
Credo che non avrà mai fine a meno che Piano non decida di farne un’altra. “Attimo” il Nauta 105’ realizzato presso i cantieri francesi CMN (Constructions Mechaniques de Normandie) è il primo con scafo in alluminio.

Un episodio che ha lasciato un “segno” nel vostro metodo progettuale?
“Attimo” è stata la nostra prima esperienza di tipo più “navale”. Il cantiere CMN costruisce vedette militari da pattugliamento veloce di 60-70, con organizzazione e mentalità di un vero e proprio cantiere navale. Il livello di interfaccia richiesto nella progettazione era diverso dal consueto… da nave appunto. Le difficoltà organizzative iniziali si sono però presto appianate e durante la costruzione non abbiamo avuto più problemi. La richiesta dell’armatore era precisa: un design moderno che conciliasse la “funzionalità” degli interni con “l’emozione” di sentirsi su una barca a vela. Oggi stiamo rivivendo questa esperienza con il progetto di un motor-yacht “importante”.

“Sailing Nour” è un Caicco di 36 metri davvero singolare… da mille e una notte. Come avete declinato il “Nauta Design” in una barca tradizionale turca?
Il Caicco si collega bene con gli interni di Attimo, perchè anche qui l’armatore ha richiesto un design degli interni contemporaneo che desse il “feeling” della tradizione turca, il paese dove è nato questo tipo di barca. Così abbiamo giocato con i legni degli arredi e i colori dei tessuti. Abbiamo proposto una serie di varianti, sotto forma di rendering con i relativi campioni di materiale. Il merito del risultato va spartito con la moglie dell’armatore, che ha saputo “scovare” complementi e tessuti nei bazaar locali.

Avete studiato una cabina armatoriale da sogno, con una vetrata che guarda la scia della barca. Sembra disegnata per poter passare la notte a guardare la luna che si riflette nel plancton… davvero emozionante!
L’armatore ci aveva mostrato un suo layout iniziale con il grande letto disposto sotto i vetri, che guardava una grande anticamera. Abbiamo disposto il letto in posizione centrale, girandolo verso poppa, e separato la zona notte per mezzo di una libreria bassa. Sui lati abbiamo disposto lo studio e la zona relax.

L’imponente “Explorer 60m” rappresenta un capitolo nuovo per Nauta Yachts. E’ una barca a motore di origine navale che offre il fascino della navigazione lenta ma di grande autonomia. Per spingersi fino ai confini del mondo?
Sì. Per esplorare i confini del mondo ma anche circumnavigarlo nella fascia tropicale. Oppure in entrambi i modi, l’uno non esclude l’altro. Nelle barche a motore il tema della “lentezza” si sta affermando sempre più come un modo nuovo di vivere il mare. Il fascino della lentezza ha oggi un suo valore: l’autonomia di carburante, cioè il poter stare in mare per molto tempo senza rifornimento, e la capacità di tenuta di mare che permette di affrontare mari impegnativi, sono caratteristiche sempre più apprezzate anche tra i “motoristi”. Perchè la ritrovata compatibilità ambientale e la riduzione del rumore a bordo migliorano il rapporto con il mare.

Tra i vostri progetti in progress avete svelato quelli di un “mega-yacht” a motore dalla linea davvero molto accattivante… potete svelare qualcosa in più?
Si tratta di un mega-yacht di 80 metri, ma dal “volto umano”! Nonostante le dimensioni abbiamo voluto tenere in primo piano il rapporto con il mare per mezzo di grandi e straordinari spazi esterni e di ampie superfici vetrate che permettono al “fuori di entrare dentro”. Parallelamente la scelta di queste priorità ha permesso la realizzazione di un mega-yacht dalla linea estremamente leggera e filante. E’ un progetto di cui penso si parlerà.

I primi disegni del Nauta112’ progettato in collaborazione con Rachel Pugh e in costruzione da Baltic svelano una estrema pulizia di linee e semplificazione formale. Less is more?
In un cantiere di Auckland avevamo trovato la scritta: “La semplicità è l’essenza del buon design”: l’abbiamo incorniciata in un quadro e appesa all’interno dello studio. Questa è la filosofia di “Nauta Yachts” e si applica sia alla forma che alla funzione. Una barca è un oggetto che racchiude in sè molta complessità per poter navigare ed essere abitabile allo stesso tempo. Nel progetto formale solitamente si riescono a raggiungere le soluzioni migliori per mezzo di “incastri felici”: semplici per definizione. Ma quando si riesce a “levare” un dettaglio superfluo, o magari semplificarlo in un unico tratto e con poco sforzo, allora capita di esclamare: “eccolo lì… ci siamo!” Funzionalmente togliere significa alleggerire, ridurre la manutenzione e risolvere in anticipo una sempre possibile avaria.

Il Nauta 44 metri in fase di progettazione è al cento per cento Nauta Design, e attira lo sguardo per il deciso rimando alle linee eleganti del sailing-yacht classico. Ispirarsi alla tradizione per lanciare una moderna eleganza?
Il mondo antico ha prodotto barche affascinanti. Se guardiamo agli yacht disegnati nel solo ‘900, troviamo progettisti come Fife e Herreshoff che hanno creato forme elegantissime. Il nostro proposito è di rivedere quelle forme senza replicarle, ma offrendone delle suggestioni come con una poppa “a becco di flauto” degli anni ‘30.

Tra i Nauta del futuro, parlate di uno sloop di 50-60 metri le cui linee conservano la filosofia dei Nauta classici. Puoi darcene una anticipazione?
Questa è una sfida sempre più difficile al crescere delle dimensioni perchè alcuni parametri non sono “scalabili”, primo tra tutti il pescaggio. Stiamo lavorando ad idee innovative, ma per ora è ancora presto per parlarne.

La gamma dei “Toy” si ispira alle “lobster” del Maine… sono le barche a motore di chi ama la vela?
Anche i Toy hanno la caratteristica di avere un piede nella tradizione e lo sguardo volto al futuro, nascono dallo stesso tema: rivisitare in chiave moderna un tipo di barca e l’emozione che può suscitare, sublimandola con un design attualizzato. Il nostro rapporto con il motore, dopo l’esperienza con Bertram nei primi anni ‘90, continua con la“Toy Marine”, a cominciare dal 36’ di cinque anni fa, al 51’, al 68’ e recentemente al 110’. Anche qui abbiamo conciliato il recupero delle forme tradizionali con l’emozione di un design contemporaneo. La novità sta nel progetto degli spazi aperti. Se confrontiamo i primi “Baglietto” con il classico motor-yacht planante di oggi… è evidente che il mercato ci ha spinto verso l’aumento dei “salotti” interni a scapito degli spazi esterni.
Un “deck” ampio e ben pensato può essere altrettanto scenografico e funzionale, perchè lo scopo prevalente di questi oggetti è la “vita all’aperto” durante i mesi estivi. Noi abbiamo incentrato il progetto sul rapporto interno-esterno creando ampie aree “verandate” a fare da filtro tra i due ambiti.Questo è un mondo nuovo per me, e che mi affascina…

Possiamo rievocare ancora una volta l’atmosfera dei primi anni di Nauta, descrivendo un momento di forte intesa con un armatore o un architetto navale?
Un episodio importante accadde durante la progettazione del terzo “My Song” di 84’. Quando andai con Pier Luigi Loro Piana da Bruce Farr, ad Annapolis. Dopo otto ore di volo passate a perfezionare il layout, a mezzanotte eravamo ancora al ristorante a discutere ogni dettaglio del progetto. Ad un certo punto Farr ha alzato bandiera bianca esclamando: “Sempre barche voi, anche a cena… basta! Io vado a dormire”. Ma alle spalle di tutto questo c’è l’amore per l’ambiente in cui questi oggetti andranno a muoversi…

 

Leave a comment