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Explorer una storia vincente – parte prima

Cinque contratti in sei settimane. Per il Cantiere delle Marche, il 2024 non poteva iniziare meglio. Le performance fatte registrare nei primi due mesi dell’anno dal marchio italiano testimoniano sicuramente l’ottimo stato di salute del mercato dei grandi yacht nonostante la complessa situazione geopolitica. Limitare però il ragionamento a una questione di numeri e statistiche restituisce una fotografia solo parziale sulle ragioni che si celano dietro a questo successo. (Qui tutti i nostri post sugli Explorer)

Explorer
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Una formula vincente

Per comprenderle a fondo bisogna partire da una parola: explorer. Su questa formula il cantiere anconetano si è costruito una reputazione che gli ha permesso di scalare le classifiche collocandosi in cima alla lista dei principali costruttori specializzati in questo segmento di mercato.

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Aurelia – ©Guillaume Plisson

La mossa vincente è stata proprio quella di aver avuto la capacità d’intuire, prima di tutti gli altri, quello che in poco tempo sarebbe diventato un vero e proprio trend. Non una moda passeggera ma qualcosa di molto più solido visto che sta cavalcando la scena ormai da diversi anni. In questo prima di una serie di articoli ho cercato di mettere insieme tutti gli elementi, compresi quelli di matrice storica, che hanno permesso alla formula explorer d’imporsi sulla scena del mercato. 

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Flexplorer Maverick

L’alba degli Explorer

Difficile stabilire con esattezza quando tutto ha avuto inizio. Una data precisa non esiste. Ma scorrendo gi annali dello yachting qualche indizio emerge. E guarda caso punta dritto al Principato di Monaco. Si può senz’altro affermare che i primi a concepire l’impiego di uno yacht concepito per esplorare mari remoti e lontani sia stato Alberto I di Monaco che diede vita a vere e proprie campagne di esplorazione. 

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L’Hirondelle I, schooner da 200 tonnellate di stazza, fu protagonista alla fine del XIX secolo, di vere e proprie esplorazioni oceanografiche che portarono il principe a scoprire e a battezzare con il nome della barca la conca sottomarina situata tra le isole di Terceira, St. Micael e Ponta Delgada. Una storia che si ripete successivamente con altri yacht che Alberto I di Monaco si fece costruire appositamente per portare avanti le sue attività scientifiche e che spinsero il principe a bordo del Princess Alice II, yacht di 73 metri, dal nord Atlantico al Mediterraneo fin verso le regioni remote dell’Artico a nord di Spitzbergen. 

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Alberto I di Monaco

Dall’Hirondelle I all’Hirondelle II passando per il Princess Alice I e II tutti gli yacht appartenuti ad Alberto I di Monaco si può dire siano stati i primi esemplari di una specie che con il passare del tempo hanno poi preso la forma degli explorer che conosciamo oggi.  

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Hirondelle II

William Vanderbilt

E proprio la sete di conoscenza abbinata al piacere della navigazione hanno indotto un personaggio del calibro di William Vanderbilt ad acquistare nel 1922 una corvetta francese di 63 metri che riconvertì in yacht. Il tema della riconversione di unità costruite in origine sarà uno dei filoni che a partire dalla fine degli Anni 80 contribuì in modo significativo a dare ulteriore risalto al tema degli explorer yacht. 

Una storia che si ripete. Vanderbilt nel progetto di riconversione non badò a spese ed equipaggiò Ara con il meglio che la tecnologia dell’epoca poteva offrire. L’obiettivo era compiere il giro del mondo. Impresa che compì tra il 1928 e il 1929 arco di tempo nel quale Vanderbilt coprì 135 mila 991 miglia navigando tra Africa, Asia, America Latina, il Pacifico del Sud. 

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A bordo 33 uomini di equipaggio, medico incluso, più gli ospiti tra i quali figuravano un pescatore professionista, un fotografo che poteva contare su una camera oscura, e un acquerellista incaricato di dipingere i pesci pescati prima che i colori sbiadissero. Dal punto di vista delle dotazioni Ara disponeva di quello che si poteva l’antesignano del pilota automatico; di un segnale d’allarme in caso d’incendio, di un sistema di ventilazione per aerare le sale destinate all’uso di pipe e sigari, un telegrafo in grado di trasmettere fino a una distanza di 2.500 miglia senza contare l’immancabile pianoforte e una fornitissima biblioteca. Anche qui a livello progettuale la destinazione d’uso di questi yacht implicò scelte che diedero un grande impulso all’intero settore. 

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Gli antesignani degli explorer

Gli antesignani degli explorer si distinguevano per le autonomie elevate, un nuovo modo di pensare gli spazi a bordo concepiti per soggiorni lunghi, e per le dotazioni di sicurezza fuori del comune. Non ultime le motorizzazioni. E così se su Ara, Vanderbilt pretese di avere una coppia di motori di diesel da 1.200 cavalli ciascuno, su Alva non fu da meno. Il nuovo yacht di 80 metri costruito nel 1930 a Kiel dai cantieri tedeschi Krupp di Kiel, come riportò il The Sydney Morning Herald nell’edizione del 22 settembre del 1931, aveva un dislocamento di 2.160 tonnellate e in sala macchine poteva contare sull’apporto fornito da una coppia di motori diesel da otto cilindri e 2.600 cavalli ciascuno. 

Sempre stando alla cronaca del quotidiano australiano Alva nel suo giro del mondo iniziato a Kiel e che prima di fare tappa in Australia aveva toccato Southampton, New York, Panama, le Isole Galapagos, Tahiti, le Isole Marchesi, aveva a bordo 55 persone di equipaggio compresi un tassidermista, due cineoperatori e un pittore. Tra le innovazioni più importanti che Alva introdusse sulla scena ci sono anche una serie di mezzi di supporto, che poi saranno lo standard sugli explorer di oggi, tra i quali figuravano due veloci runabout e un Douglas Dolphin Model I. Collocato a poppa dello yacht questo aereo anfibio monoplano a scafo centrale venne utilizzato da Vanderbilt come tender volante per velocizzare le operazioni di trasporto sue e dei suoi ospiti. – Fine prima parte

Matteo Zaccagnino

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