Manca un anno. Forse è prematuro parlarne. Ma sarà un momento importante perché celebra il traguardo dei 50 anni per un segnatempo entrato nella storia di Audemars Piguet e nell’orologeria intesa in senso più ampio. Il Royal Oak ha visto la luce nell’aprile del 1972, in uno dei momenti più bui per l’industria del tempo che in quel periodo stava facendo i conti con l’avvento del quarzo. Eppure, nonostante le premesse non fossero le migliori, è accaduto qualcosa di unico. L’incontro tra Gérald Genta e la Maison di Le Brassus ha fatto nascere quella che, a distanza di quasi 50 anni, è considerata a ancora oggi un’icona nel mondo delle lancette. Un successo che profuma anche di mare, come ci racconta in questa intervista François-Henry Bennahmias, Ceo di Audemars Piguet.
Quasi 50 anni fa, il Royal Oak, ha riscritto le regole dell’orologeria. Qual è il segreto di un successo che continua ancora oggi?
L’aver preservato l’integrità e i valori originali della collezione. Gli interventi migliorativi sono sempre stati minimi così da non snaturarne i contenuti estetici e i volumi.
Il Royal Oak ha un forte legame con l’acqua?
Tra i suoi requisiti al primo posto c’era l’impermeabilità. Da qui la costruzione della cassa. Gérald Genta ha visto un tizio con una campana da sub nel lago di Ginevra e ha pensato che se questo sistema era abbastanza buono per proteggere un essere umano, allora doveva essere anche la soluzione ideale per offrire un’adeguata protezione al movimento. Quindi la risposta è sì, l’acqua è stata determinante.
Il Royal Oak si è rivelato unico perché ha permesso di sperimentare con successo nuovi materiali e nuove tecniche?
La costruzione della cassa è stata una sfida fin dal primo giorno. Fin dal primo momento una delle cose cui si è prestata più attenzione è stata la rifinitura manuale di tutti i componenti: bracciale, lunetta e cassa. L’anno prossimo vedrete alcune novità nella collezione tali da renderla più interessante.
Quindi vedremo nuovi materiali?
Bella domanda! (ride ndr)
L’Offshore Diver ha debuttato nel 2010. Quali sono state le ragioni che vi hanno spinto a puntare su quella collezione?
Si trattava di tornare alle nostre radici e a ciò che rappresentiamo. Ci siamo chiesti: “Che idea si sarebbero fatta i subacquei? Avrebbero davvero messo al polso questo orologio?” Il tutto con la consapevolezza che non saremmo mai arrivati a concepire qualcosa di così tecnico per resistere fino a 500 metri di profondità. Così abbiamo pensato: “Ok, sarà un orologio che evoca l’idea dell’immersione”.
Audemars Piguet con Alinghi ha portato la Coppa America in Europa per la prima volta. Quell’esperienza è stata una fonte d’ispirazione per voi?
Assolutamente sì. Grazie ad Alinghi abbiamo lanciato il Carbon, realizzato in carbonio forgiato. La partnership con il team che ha portato l’America’s Cup in Europa non una ma due volte, grazie a scelte vincenti che hanno portato a costruire uno degli scafi più avanzati a livello tecnologico. Tutto questo ci ha aiutato a spingerci verso nuovi confini e a essere associati a uno dei più grandi team di sempre nella storia dell’America’s Cup.
Perché i segnatempo legati al mare di Audemars Piguet riscuotono tanta attenzione?
Il mare, gli oceani, l’acqua sono un straordinario contenitore di emozioni. Nell’immaginario collettivo sono “un territorio” ancora sconosciuto sul quale ognuno proietta i propri sogni e la propria immaginazione.
Nello specifico, qual è il profilo del cliente del Royal Oak Offshore Diver? Possiamo vendere a 15enni, 20enni e 70enni di luoghi diversi, appartenenti a culture diverse, background diversi. Non c’è un profilo specifico per un orologio specifico – per nostra fortuna!
Il 2021 segna l’arrivo di tre nuove referenze per l’Offshore Diver: quali sono le loro caratteristiche più salienti?
Prima di tutto, il cinturino intercambiabile. Ci abbiamo lavorato per anni. Inoltre abbiamo attenuato i colori per enfatizzarne l’urban stile, a Hong Kong come a New York a Singapore o a Milano.
Audemars Piguet è stata le prime case orologiere a impegnarsi, attraverso la sua fondazione, nella tutela dell’ambiente quello marino compreso. Come nasce questo progetto?
La Fondazione Audemars Piguet ha come obbiettivo la salvaguardia delle foreste e, più in generale, dell’ambiente. Jasmine Audemars e suo padre sono stati tra i primi a capire che la questione ambientale sarebbe diventata molto importante negli anni a venire, e avevano ragione. Dobbiamo continuare a lavorare e impegnarci il più possibile per portare all’attenzione di tutti, dei nostri clienti, ma anche di coloro che non sono e non saranno mai clienti di Audemars Piguet, l’importanza legata alla salvaguardia dell’ambiente.